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domenica 15 agosto 2010

IL VERO APPRENDIMENTO.

Vi siete mai chiesti quale sia il senso dell'educazione? Perchè andiamo a scuola, impariamo varie materie, facciamo esami e gareggiamo tra di noi per avere i voti migliori? Qual è la vera funzione dell'educazione? E' semplicemente allo scopo di superare qualche esame e trovare lavoro, ovvero la funzione dell'educazione è di prepararci, quando siamo ancora giovani, a comprendere il processo della vita nella sua interezza? Di certo la vita non è fatta soltanto di lavoro, di un'occupazione; la vita è qualcosa di straordinariamente ampio e profondo, è un grande mistero, il più grande, che avvolge tutti noi esseri umani.
Io credo che l'educazione non abbia altro senso se non quello di aiutarci a comprendere la vastità della vita, in tutte le sue sfumature, la sua bellezza, i suoi dolori e le sue gioie. Lauree e titoli accademici a nulla varranno se strada facendo la nostra mente si offusca e si instupidisce.
La vera funzione dell'educazione è di coltivare l'intelligenza non solo nel fare, ma soprattutto nel sapere, cercando di trovare la risposta a tutti i problemi che troveremo sul nostro cammino; e, fatalmente, ne troveremo tanti di più a seconda dello sviluppo della nostra intelligenza...
E' molto importante per i giovani vivere in un ambiente dove non alberghi la paura perchè dove è presente la paura non vi può essere intelligenza.
Quando parlo di paura, mi riferisco al timore di ribellarsi contro tutto, contro la religione organizzata e i dogmi, contro la tradizione, tomba dell'innovazione, contro il marcio della attuale società, scoprendo autonomamente, in quanto singoli esseri umani, la verità.
Non imitazione, ma scoperta autentica. E questo è possibile soltanto quando si è liberi, quando sia cioè in atto una continua rivoluzione interiore.
Solo indagando, osservando, imparando costantemente, potremo trovare la verità, Dio o l'Amore che sia; ma non possiamo fare tutto questo, nè avere alcuna consapevolezza, se abbiamo paura.
La funzione dell'educazione non può essere altro che quella di eradicare, tanto internamente quanto esteriormente, questa paura che distrugge il pensiero, i rapporti e l'amore.


DICE IL SAGGIO: Non è la letteratura nè il vasto sapere che fa l'uomo, ma la sua educazione alla vita reale. Che importanza avrebbe che noi fossimo anche di saggezza se poi non sapessimo vivere in fraternità con il prossimo? (Gandhi).

lunedì 9 agosto 2010

Non preferire apparire anzichè essere

Di solito quando si parla di "apparenti" si finisce per parlare di gente che ama il lusso, che è vanitosa, che fa di tutto per essere sotto ai riflettori. Sono persone che hanno un'autostima da risultato (esisto se qualcuno mi dice bravo) oppure sono vittime di pesanti condizionamenti sociali o familiari.
A ben pensarci, gli stessi condizionamenti sono quelli che ci fanno vergognare di una nostra situazione che di per sé non dovrebbe essere per nulla imbarazzante. Il povero che si sente a disagio per la sua povertà o per il suo umile lavoro, la persona di scarsa cultura che si sente in imbarazzo di fronte a chi ha studiato, chi invitato ad un matrimonio non si sente a posto perché tutti vestono meglio di lui. Dovrebbe essere chiaro che "essere influenzati da quello che pensa la gente" quando non abbiamo colpe morali è una forma di apparenza, perché, probabilmente, se fossimo dall'altra parte, saremmo apparenti. Fin qui molti saranno d'accordo. Ma facciamo un ulteriore passo per vedere in quanti avranno il coraggio di seguirmi.
Sarà perché a me di quello che pensa la gente non è mai importato un fico secco, o per essere più precisa no ha minimamente influenzato il mio modo di essere e di comportarmi, ma penso di avere l'esclusiva su una situazione che non ho mai sentito commentare da nessuno in modo simile al mio.
Il fatto è questo. Tempo fa, in televisione in un servizio si lodava come un'eroina una ragazza che, per anni stuprata dal patrigno, aveva trovato il coraggio di denunciarlo; il titolo, i commenti (la coraggiosa ragazza ecc.), tutto era bianco. E allora una domanda sorge spontanea: perché in questo e in mille altri casi simili la vittima del reato non mostra il viso, ma si fa riprendere di spalle? L'unica risposta è la vergogna. Ma la vergogna di che??? Visto che non ha colpa e che non lo fa per paura di ritorsioni (l'attore o gli attori del reato sanno benissimo chi è), perché non mostrarsi a viso aperto, puntare il dito sul carnefice e dire un fragoroso "lui, proprio lui, deve pagare!"??. Non ce la farò mai a comprendere perché una donna che venga stuprata dovrebbe provare vergogna, visto che non ne ha nessuna colpa.
Purtroppo la nostra società (e quindi, sul malgrado, anche la donna) è ancora pesantemente condizionata da una visione arcaica della sessualità proveniente dalla religione (un danno collaterale…?), secondo la quale la donna è colpevole anche quando non ha fatto nulla di male (un po' come il bambino che, picchiato senza motivo dal genitore ubriaco, si sente in colpa perché pensa di essere stato cattivo). Pensiamo che in alcune correnti islamiche, se vittima di un crimine, la donna può essere comunque punita perché ha arrecato vergogna alla propria famiglia; infatti, se viene stuprata, può al limite anche essere uccisa dal padre per aver permesso di essere violentata da un uomo che non sia suo marito.
I cristiani non stanno meglio: nella Bibbia la donna è impura quando ha un rapporto, quando ha le mestruazioni, quando partorisce ecc.
Essere e Apparire sono i corrispondenti di reale e desiderato, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere o ciò che vogliamo che gli altri pensino che noi siamo.
Quasi tutti seguono, nel loro vivere, un mix di essere ed apparire, ognuno con le sue percentuali e modalità dell’uno e dell’altro elemento. E’ molto difficile tornare indietro in quanto, abituati a proporci per ciò che ci sembra più opportuno o necessario, non ci siamo più dedicati a capire la nostra realtà, cioè come siamo realmente e tanto meno ci siamo adoperati per migliorarci sul serio, tutti presi dal migliorare quell’immagine che dovevamo "vendere" di noi.
Riprendere l’abitudine alla sostanza, ritrovare l’abitudine mentale di relazionarci con la realtà, con le persone reali e non con la loro immagine, è un percorso che può essere faticoso e non breve. A volte poi, l’impegno nei confronti dell’apparire è così grande che finiamo per credere anche noi di essere come vorremmo apparire, restiamo così noi stessi vittime della mistificazione.
A questo punto riprendere il contatto con la realtà può diventare anche doloroso e ammettere che siamo tutt’altro da quello che avremmo desiderato può costare caro in termini psicologici, ma è un passaggio inevitabile se si vuole intraprendere la strada del risanamento.
Vorrei concludere e arricchire il concetto in oggetto sostenendo che non sia il caso di NON VOLER APPARIRE e non voler mettersi in gioco anzichè ACCETTARE di ESSERE in tutto e per tutto parte attiva della propria vita, artefici del proprio destino, accettandone le prerogative positive che rilasciano eventi fausti, così come gli accadimenti non proprio edificanti e difficili da gestire.

DICE IL SAGGIO: Non fingere di essere saggio, ma sii saggio davvero: non abbiamo bisogno di apparire sani, ma di esserlo veramente. (Epicuro).